venerdì 20 maggio 2011

La Siria vista dalla Siria

no-terrorism-megadi Antonella Appiano - conbagaglioleggero.com

Sono in Siria da quasi tre mesi. Una premessa sull’informazione.
1) Fin dall’inizio della “crisi siriana” l’informazione dei media internazionali – la maggior parte dei quali non aveva corrispondenti sul posto – è stata scorretta. L’ho potuto constatare, in diverse occasioni, come testimone diretta. Mi riferisco, in questo caso a Damasco.

E ne ho scritto qui sul mio blog poi sul quotidiano on line www.Lettera43.it nelle mie corrispondenze, “Diario da Damasco”.

Durante questo periodo ho raccolto testimonianze di attivisti, di oppositori, di sostenitori del regime, di esponenti del partito comunista, di gente comune. Persone in carne ed ossa con un nome, un volto, un mestiere. Penso più attendibili quindi di voci anonime telefoniche. Eppure non le ho mai divulgate come “verità” in quanto le testimonianze non erano confermate da fonti indipendenti.

Leggo spesso “lo affermano testimoni”. Chi sono? C’è qualche conferma? E qualcuno verifica Twitter e i post su Facebook? Io ho provato, più volte, e anche in questo caso, spesso, ho trovato notizie false.
Le testimonianze che ho raccolto, sul “terreno” e non, a Beirut o in Giordania, sono sempre state contraddittorie. E bisognerebbe tenerne conto. Personalmente – dagli stessi attivisti con cui sono in contatto – a volte ho ricevuto informazioni diverse da quelle che poi leggevo sui grandi media, riguardo, per esempio, il numero dei partecipanti alle manifestazioni. Quasi sempre, inferiori. E ancora.
A volte, vivendo qui, ci si trova contagiati da suggestioni, paure che vengono trasformate in realtà. Un esempio recente. Sabato 7 maggio sono andata con il bus di linea ad Homs. I negozi erano aperti e ho pranzato con alcuni amici in un piccolo ristorante. Verso l’una e mezza, mentre ero vicino alla chiesa siriaco-cattolica, i negozianti hanno chiuso in fretta la serranda e hanno cominciato a dirmi “Musahara, manifestazione, c’è una manifestazione”.
In un caffé ho chiesto notizie e mi è stato riferito “che in centro si era formato un corteo di 20 mila persone e che la strada per la stazione dei bus era interrotta”. Con un taxi ho fatto un giro in centro. Non c’era nessuno e sono ritornata senza problemi alla stazione. Che cosa è successo quindi? Venerdì, Homs era stata teatro di manifestazioni e, il giorno seguente, il sabato, dopo la preghiera, la gente spaventata, aveva trasformato un timore, in un fatto reale.
Io ho controllato la notizia. Mi domando quanti l’avrebbero invece “sparata” da un sito internet, una tv, una radio senza accertarsi prima. Sono pochissimi i media che hanno voluto o sono riusciti a mandare un corrispondente a Damasco. Il regime siriano, poliziesco e autoritario, ha allontanato i giornalisti, è vero. Ma la mia impressione è che alle influenti catene televisive come Al Arabiya, Al Jazeera o la BBC non importi molto il ritrovamento diretto e incrociato delle notizie.
Troppo spesso le informazioni vengono prese in rete e sono pubblicate solo quelle che parlano di proteste oceaniche, guerriglia nelle strade. Le altre sono scartate.
Credo sia stata ignorata dai media occidentali la notizia recente delle dimissioni dalla tv Al Arabiya, della giornalista Zeina Al Yaziji in polemica per come sono seguite le manifestazioni in Siria. Per la stesse ragioni ha dato le dimissioni, il direttore della redazione siriana di Aljazeera, Abdel Harid Tawfiq. E già da metà aprile, l’editorialista Ghassan ben Jiddo, ha lasciato la direzione dell’ufficio corrispondenza da Beirut.
Vivendo a Damasco, girando il Paese (per quanto possibile), restando in contatto con la poplazione e registrando i cambiamenti di atmosfera, le voci, i timori, si possono fare alcune considerazioni.
È fuori di dubbio che nel Paese stiano agendo gruppi spontanei portatori di istanze democratiche. Esistono comunque alcuni punti oscuri. E la polemica sull’esistenza o meno di gruppi armati stranieri che “cavalcano la protesta” per destabilizzare la Siria, in occidente rischia di diventare ideologica. Ma dopo aver raccolto qui, tante testimonianze, non mi sento di escluderla. Anche Bassam Al Qadi, ex esponente del partito comunista siriano (7 anni di carcere, tuttora privo dei diritti civili e della possibilità di andare all’estero), che ho intervistato a fine marzo e ad aprile, sostiene la tesi.
Dello stesso parere sono Osama Maghout (intervista del 28 aprile su La Voce del popolo” quotidiano del Partito Comunista Siriano) e il decano dell’opposizione Haitan Al Maleh. Moltissimi testimoni mi hanno riferito di aver visto “in mezzo ai manifestanti pacifici bande di uomini armati che sparano ai militari e i civili per creare disordine”. Anche amici, conoscenti che vivono a Douma, a Dar’aa. Non ho assistito direttamente alle sparatorie ma credo di dover riferire ciò che mi è stato raccontato.
Sono lecite, credo, due domande che si pongono i siriani.
“Perché le manifestazioni più significative si siano finora svolte in centri sunniti vicini ai confini giordano (Dar’aa) e libanese (Homs, Banias)”? ( Sia in Giordania che in Libano è ben radicato il sunnismo di matrice saudita).
E “il nostro è un Paese chiave, nel quadro medi-orientale, come non pensare a interventi Usa o europei?”.
Nella capitale, e non solo, la notizia diffusa da Wikileaks - sugli ingenti finanziamenti dell’amministrazione Bush prima e di quella Obama dopo all’opposizione siriana - ha avuto grande eco.
2) Gran parte dei siriani ha davvero paura di una divisione territoriale e confessionale. Di un “effetto Iraq o Libano”. Di una guerra civile. Sono orgogliosi dell’unità nazionale e della convivenza pacifica di gruppi appartenenti ad etnie e religioni diverse.
Che questa paura faccia comodo al regime, non la rende comunque meno vera. La parte moderata della città e le minoranze, soprattutto quella cristiana (il vescovo caldeo di Aleppo, Antoine Audo si è espresso senza mezzi termini) si siano schierate compatte a favore di Bashar. Damasco, la capitale, non scende in piazza. E questo è successo per 9 venerdì di seguito, nonostante gli appelli dei gruppi di rivolta presenti su Fb. Anche quando non era controllata dall’esercito.
Nella capitale, come anche Aleppo, vive una larga fetta di borghesia che appoggia il regime. Ma anche chi non ha interessi economici, per ora sta a guardare. Aspetta. Ci sono poi settori della società che non amano gli Assad ma che si chiedono se l’alternativa proposta dalle opposizioni non sia peggiore rispetto all’attuale status quo.
3) A Damasco si parla infatti molto della mancanza di una opposizione “reale”. Della mancanza di leaders e piani precisi. Da sfatare anche il luogo comune che i siriani non siano informati su ciò che sta accadendo nel Paese. Seguono tutte le emittenti televisive, anche quelle straniere e navigano in internet. Soprattutto i giovani.
In molti obiettano. “I gruppi su Facebook operano dall’America. Non abbiamo fiducia nei fuoriusciti, seguiamo le dichiarazioni che fanno in Rete, dal loro mondo dorato all’estero.
Viene citato spesso Ammar Abdulhamid, oppositore esiliato nel 2005, che oggi vive nel Maryland, negli Stati Uniti. “Lui, come gli altri ingenui, minimizza il pericolo.”Di fatto gli oppositori e gli attivisti che ho ascoltato non hanno saputo darmi risposte. Oppure hanno ventilato una soluzione provvisoria “gestita dai vari gruppi confessionali”. Proprio ciò che fa paura ai siriani. Questa incertezza, questa paura del vuoto di potere, di cui potrebbero approfittare potenze straniere, o gruppi religiosi conservatori, o addirittura vecchi esponenti del Partito Ba’th come l’ex vicepresidente Khaddam, in esilio in Francia, (originario di Banyas) sono reali non frutto di opinioni o “scuole di pensiero”. Ma si possono “registrare” solo vivendo sul “campo” e ascoltando ciò che dice la gente.” Ieri era aumentata visibilmente la presenza di forze di sicurezza. Nei dintorni della capitale, nei sobborghi dove nelle scorse settimane si sono registrati disordini come Duma, Harasta, Barzeh, la polizia hanno allestito posti di blocco.
La collaboratrice di Lettera 43 Antonella Appiano, sempre da Damasco, si fa qualche domanda in più su quanto sta accadendo, e soprattutto si preoccupa di dar voce a quei settori della società siriana che forse non amano più di tanto gli Assad, ma che si chiedono se l’alternativa proposta dalle opposizioni non sia peggiore rispetto all’attuale status quo:
“La minoranza cristiana di Damasco e la parte moderata della città continuano a esprimere quindi il timore che la situazione possa precipitare e portare il Paese nel caos dell’Iraq o in una suddivisione simile a quella del Libano. Nella capitale, ora si parla con insistenza della presenza di gruppi armati salafiti, un ramo radicale dell’Islam sunnita. E della mancanza di leader e piani precisi nell’opposizione. Una tesi sotenuta anche da Bassam al-Kadi, che avevo intervistato all’inizio delle manifestazioni in Siria.
«I gruppi su Facebook operano dall’estero», dice ancora Najar. «Dall’America. Dalla Gran Bretagna. Ma chi gestirà la transizione nel caso di un rovesciamento del governo? E come? No, non ho fiducia nei fuoriusciti. Seguo le dichiarazioni che fanno in Rete, dal loro mondo dorato all’estero».
E cita Ammar Abdulhamid, oppositore esiliato nel 2005, che oggi vive nel Maryland, negli Stati Uniti. «Lui, come gli altri, ingenui, minimizza il pericolo. Tante parole. Nessun piano concreto. La legge di emergenza non c’è più. Questo è un risultato concreto invece».
Ma sulle ultime decisioni delle autorità (la revoca dello stato di emergenza, l’abolizione dei tribunali di sicurezza dello Stato e l’autorizzazione a manifestare pacificamente) i pareri sono discordanti.
La città ancora una volta è divisa tra chi ritiene che «un passo importante sia stato fatto nella direzione di un cambiamento che porterà alla democrazia» e chi invece interpreta l’annuncio solo come un atto formale. Un giovane attivista che chiede di rimanere anonimo, dichiara: «Vogliamo la democrazia. Ora. Le riforme non bastano più»”.
Noi, da Roma, non siamo naturalmente in grado di offrire una versione sufficientemente esatta di quanto sta avvenendo in Siria. Però ci poniamo molte domande. Che servono a comprendere la realtà sicuramente di più rispetto al copia e incolla dalle veline dei media finanziati dalle petromonarchie feudali del Qatar o dell’Arabia Saudita…

Tratto da:
conbagaglioleggero.com

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